Sono stato da Öetzi
L’editoriale di Breaking News!
Bolzano, una rimpatriata tra amici di molte regioni d’Italia un paio dei quali non avevo rivisto da cinquant’anni. Cinquanta giusti, mica per dire. Qualcuno ha lanciato l’idea di una visita al museo dell’uomo di Similaun, il cacciatore venuto dal ghiaccio ritrovato nel 1991 tra i nevai della Val Senales in Alto Adige, ad una spanna dal confine austriaco. Dieci metri più in là e sarebbe tutt’oggi a Vienna, dove era stato ospitato all’inizio. L’uomo di Similaun, Öetzi per gli amici. Un signore – suona quasi improbabile – vissuto prima che fossero eretti le Piramidi ed i megaliti di Stonehenge.
Realtà batte immaginazione
Il ritrovamento mi aveva affascinato fin dalle prime notizie: un cacciatore che 5.300 anni prima di me se ne andava a spasso per le Alpi e che per un miracolo climatico si è conservato in maniera stupefacente, mica come le mummie rinsecchite dell’antico Egitto che stentano a trasmettere l’impressione di essere state un tempo uomini e donne come noi.
L’elemento favoloso di questo museo, monotematico e piccolo ma particolarmente curato, è che sembra di entrare in una capsula del tempo. Le immagini di Öetzi così come è stato ritrovato e restaurato le hanno viste tutti, la pelle color cuoio, il cranio calvo, le braccia innaturalmente allineate alla sua destra. Ciononostante sono rimasto senza fiato a fissarlo nella bara di vetro che lo conserva a temperatura e umidità costanti.
Quando si lavora con amore
Quello che mi ha stupito dell’esposizione è il contorno, la cura minuziosa – direi amorevole – con cui sono stati raccolti, catalogati, studiati e ricomposti i vestiti di pelliccia ed erbe intrecciate, le scarpe con la paglia come isolante, la cintura con una specie di marsupio, gli ingegnosi attrezzi portati a spalla in una gerla, la piccola farmacia da viaggio, l’ascia con la punta di rame, l’arco che non aveva ancora rifinito, il coltello. Persino le serie di tatuaggi, pare a scopo curativo, una specie di Bar Code su giunture, articolazioni e nervi.
Un lavoro archeologico inimmaginabile basato sul recupero di mille frammenti, a volte microscopici, come gli ami o i semi che si era portato dietro, un lavoro svolto in condizioni climatiche complicate tra neve, vento e ghiaccio, un lavoro certosino grazie al quale possiamo vedere e capire quanto siamo lontani ma anche quanto siamo vicini agli antenati di fine Neolitico.
Per le statistiche dell’epoca lui era decisamente vecchio – oltre quarant’anni, quasi cinquanta – e a noi appare anche stranamente piccolo. Ma la struttura fisica dell’uomo è radicalmente cambiata nei secoli, come può confermare chiunque sia stato, ad esempio, all’Eremo delle Carceri e si sia dovuto chinare per passare dalla porticina bassa e stretta della cella di San Francesco.
Tutto molto bello, tutto idilliaco. Salvo un particolare che stona come uno schiaffo: Öetzi è morto per una freccia che l’ha proditoriamente colpito alle spalle mentre, dopo pranzo, se ne stava accovacciato a sistemare il suo bagaglio prima di riprendere la marcia. Forse l’uomo non è mai cambiato.
Alberto Delaini