Poeti, santi, navigatori ed olimpionici

L’editoriale di Breaking News!

Alberto Delaini - Delaini & Partners

Certo, noi italiani siamo un popolo decisamente strano. Abbiamo una storia millenaria fatta di civiltà e cultura e forse non ci rendiamo conto che possediamo pure la massima concentrazione di opere d’arte ed architettoniche che esista al mondo. Come non bastasse, la sorte ci ha posizionati al centro del Mediterraneo e gratificato di ogni varietà in termini di panorama, dai ghiacciai delle Alpi alle spiagge del Salento.
Poi la nostra buona stella si è un po’ appannata, lasciandoci la responsabilità di decidere la classe politica e di preoccuparci della buona gestione della cosa pubblica. E lì non è che sempre ci siamo dimostrati i primi della classe.

Medaglie di legno
Ma le lamentazioni non portano da nessuna parte, è passato da poco (anche se sembra un secolo) il momento dei peana, dei canti di vittoria. Le Olimpiadi di Parigi sono dietro le spalle, le acque della Senna possono tranquillamente tornare coltura di virus ed un poco alla volta si sono spenti pure gli “assalti alla diligenza” di funzionari sportivi ed esponenti politici che reclamano meriti – immaginari o meno – sulla messe di medaglie che abbiamo riportato in madrepatria.
Un particolare mi ha colpito e, se consentite, commosso. Il nostro Presidente Sergio Mattarella, una volta di più, ha messo in evidenza una sommessa ma sempre decisa attitudine a vedere le cose da una prospettiva particolare, una prospettiva estremamente umana e diretta. Ha invitato al Quirinale non solo gli atleti – olimpici e paralimpici vorrei sottolineare – che una medaglia la tengono orgogliosamente al collo ma pure quelli che sono arrivati quarti. La cosiddetta “medaglia di legno” (ne abbiamo fatto una vera raccolta: ben 25 se non ricordo male!) per una volta tanto non rappresenta la maledizione di una sconfitta ma la sottolineatura dell’impegno di chi, comunque, si è issato molto vicino all’Empireo mondiale nella propria specialità. Abbiamo letto di polemiche tra atleti che l’hanno accolta come un grande successo personale – bravissimi! – e di altri che ne hanno contestato la celebrazione sostenendo in sostanza che o vinci o non sei assolutamente nessuno.
Dall’alto del mio personale carnet sportivo, drammaticamente disadorno anche rispetto al livello minimalista in cui mi sono trovato a competere, parteggio decisamente per i primi perché le sconfitte e le vittorie nelle competizioni, parimenti incruente e senza conseguenze esiziali, mi hanno sempre insegnato qualcosa e fatto più uomo.

Cittadinanza
Un’altra osservazione in tempi di jus scholae. Per semplificare, mi limito unicamente ai volti ed ai nomi e cognomi delle ragazze che hanno fatto scempio di qualsiasi avversaria nel torneo olimpico di pallavolo. Senza esagerazione ci troviamo a sfogliare un intero atlante geografico che parte a buon diritto da Julio Velasco, il loro coach venuto dall’Argentina. Ce ne sono di nate all’estero, di nate in Italia da uno o entrambi i genitori di altri Paesi o altri Continenti, insomma un’armata policroma che ha intonato all’unisono l’inno di Mameli.
Da ragazzo mi è capitato di restare un periodo a Parigi ed il primo elemento di stupore è consistito nell’incrociare di continuo nei Boulevard persone di colore, indiani e persino cinesi. Era il 1963, mica ieri, e nella mia Verona capitava veramente di rado di vedere qualche ragazzo nero, ma solo ed esclusivamente con la divisa dell’esercito statunitense che aveva lì una importante base. Oggi miei nipoti hanno in classe dal 30 al 50% di compagni provenienti da mille Paesi del mondo e li invidio, perché considero questo fatto una incredibile forma di arricchimento personale e culturale. Sempre che questo incontro avvenga con la mente aperta, la stessa che dimostrano ragazzi e ragazze neri che parlano con il cantilenante accento veneto, indù che si esprimono in perfetto bergamasco o cinesi che sfoggiano un morbido accento toscano.
Tutte le statistiche affermano che l’Italia sta invecchiando, che le aziende non trovano giovani da assumere, che non abbiamo badanti ma nemmeno infermieri e via andando. Tante criticità che riempirebbero un volume. Aggiungo che mi piacerebbe un sacco che la cittadinanza dispensata a piene mani a chi dimostra talenti sportivi fosse attribuita (con logica severa, regole chiare ma anche senza tirchieria) a tutti quelli che arrivano in Italia e dimostrano di adottarne le leggi, la cultura e pure qualche tradizione locale. Tra gli sportivi cito l’esempio di Andy Diaz Hernandez, la “nostra” medaglia di bronzo nel triplo maschile. Senza l’atletica sarebbe ancora a Cuba e sottolineo che quella di Parigi è stata pure la sua prima performance con indosso la maglia azzurra. Viene allenato da Fabrizio Donato, bronzo alle Olimpiadi di Londra nel 2012, cui l’allievo “irriconoscente” ha pure tolto il primato italiano nonostante il suo mentore si fosse esposto al punto da ospitarlo in casa propria. Una chicca: a Parigi l’hanno battuto solamente lo spagnolo Jordan Alejandro Díaz Fortun (oro) ed il portoghese Pedro Pichardo (argento). Entrambi nati a Cuba.

Concludo con una precisazione pedante. Il termine Olimpionico – che ho citato per semplicità nel titolo – indica esclusivamente gli atleti che le Olimpiadi le hanno vinte, non gli altri che vi hanno semplicemente partecipato o si sono classificati nelle più basse posizioni del podio. Sento di doverlo al mio indimenticato professore di Greco, che lo sottolineava sempre e con piccato puntiglio.

Alberto Delaini